VIKINGS - Stagione 6 Parte 2 - RECENSIONE

Al centro di questa stagione, che è arrivata in prima visione assoluta su Timvision, ci sono infatti ancora loro: Ivar, che dal padre ha preso la sete di potere e la follia, Bjorn, che ne incarna la leggenda ed il profondo eroismo, Ubbe, che ne porta avanti lo spirito di avventura e di scoperta, ed, infine, Hvitserk, con i suoi stessi dubbi, frustrazioni e spirito autodistruttivo. La seconda parte della sesta stagione di Vikings chiude l'epica saga inaugurata da Ragnar Lothbrok, celebrando la sua memoria e - come vedremo - realizzando finalmente il suo sogno e la sua visione.

Questo è ciò che afferma Gunnhild in uno dei primi episodi, anticipando la fine della saga iniziata con Ragnar - che da guerriero/contadino, divenne conte, poi re ed infine leggenda - e portata avanti dai suoi figli, da una parte influenzati da una figura paterna così ingombrante e dall'altra alla costante ricerca del loro posto nel mondo. Ognuna delle diverse storyline a loro legate verrà chiusa - in certi casi in maniera estremamente soddisfacente, in altri meno - nel corso di questi ultimi dieci episodi, lasciandoci la sensazione che non solo la storia di questi personaggi, ma anche quella del mondo in cui vivono, sia in qualche modo arrivata ad un'inevitabile conclusione e si debba far spazio a qualcosa di nuovo.
La storia si apre con un Bjorn gravemente ferito - ma non sconfitto - dalla violenta incursione dei Rus di Oleg, tra le cui fila troviamo anche Ivar e Hvitserk: il primogenito di Ragnar è disposto a tutto, anche nelle sue precarie condizioni, pur di difendere Kattegat dall'invasione nemica. Molto lontano, in Islanda, Ubbe e Torvi si preparano a partire ancora una volta verso Ovest, alla ricerca di nuove terre. Questa stagione - nel corso della quale si viaggerà parecchio, da Kattegat ci spostiamo infatti di nuovo in Russia ed Inghilterra, fino in Groenlandia e anche in altri territori - si prende il suo tempo inizialmente per definire le diverse storyline legate ai numerosi personaggi, questo fa sì che ai primi episodi più accesi e movimentati ne seguano altri decisamente più lenti, che lasciano con l'impressione che la serie si trascini e giri un pò a vuoto. Come se ci fosse un po' troppo da raccontare e non sempre le idee chiare sul come farlo. È possibile, però, che la relativa lentezza degli episodi centrali - soprattutto se a confronto con la potenza di quelli iniziali e di quelli conclusivi - sia voluta, al fine di evidenziare il momento di stasi e di confusione vissuto dai personaggi. Fortunatamente, sul finale Vikings 6 recupera la giusta andatura e tira le fila delle varie sottotrame nel migliore dei modi, soprattutto quella di Ubbe e Ivar.

Per quanto riguarda Ivar, oltre alla folle malvagità a cui eravamo abituati, in questa stagione ci viene mostrato il suo lato più umano, sia grazie al rapporto con il giovane Igor che a quello con il fratello Hvitserk. Alex Høgh Andersen riesce a trasmettere al meglio la sua duplicità, rendendo il suo personaggio - anche nei suoi momenti peggiori - affascinante e attraente: vi posso anticipare, senza fare spoiler, che sarà proprio la conclusione dell'arco narrativo di Ivar ed Hvitserk a coinvolgere e toccare di più lo spettatore. Hvitserk, poi, che è sempre stato quello meno approfondito e caratterizzato tra i figli di Ragnar, in questa stagione conclusiva si prende finalmente il giusto spazio: il rapporto che lo lega al fratello acquista un senso completamente diverso, giocando un ruolo fondamentale nel finale. È vero, la mancanza di personaggi come Ragnar e Lagertha si sente, ma Bjorn, Ubbe, Ivar e Hvitserk riescono a reggere molto bene sulle loro spalle l'ultima porzione dello show, trascinando lo spettatore nelle vicende che li hanno come protagonisti.
Tra tutte le storyline di questa seconda metà di stagione, una di quelle che mi ha senza dubbio attratto di più è quella incentrata su Ubbe e sul suo viaggio ad Ovest. Come dicevo il personaggio interpretato da Jordan Patrick Smith incarna lo spirito di avventura e di scoperta del padre Ragnar, e sarà proprio lui ha portare a termine quel sogno che lo aveva accompagnato durante tutta la sua vita: spingersi sempre più avanti e trovare nuove e floride terre al di là dell'Oceano. La perfetta conclusione per la serie non può quindi che essere l'arrivo per Ubbe ed i suoi in un paradiso inesplorato ricco di risorse, dove però incontreranno anche numerose difficoltà nel relazionarsi con chi si trovava lì prima di loro. Quanto delle tradizioni e delle leggi che li hanno sempre guidati nella loro vecchia vita può servirgli in questo nuovo mondo? Se l'era dei grandi eroi è giunta alla fine, ciò che più caratterizza l'essere vichinghi - ossia l'incapacità di fermarsi, di vivere una vita "ordinaria", e la spinta costante vero nuove scoperte e conquiste è qualcosa che non potrà mai esaurirsi, e sopravvive nel personaggio di Ubbe, che è quello tra i figli di Ragnar ad assomigliargli di più e che riesce, al contrario dei suoi fratelli, a trovare il giusto equilibrio tra vecchie e nuove tradizioni.
Non posso che concludere sottolineando quanto il viaggio con Vikings sia stato altalenante: dopo la scomparsa di Ragnar e poi di Lagertha mi eravo chiesta se valesse davvero la pena di continuare con una serie le cui ultime stagioni non ci avevano coinvolto quanto le precedenti. Il finale, però, è riuscito a colpirmi molto di più di quanto mi sari mai immaginata: Vikings 6 non è una stagione priva di difetti ma, a mio parere, è davvero la conclusione perfetta per la saga di Ragnar Lothbork.


Titolo: Vikings
Genere: drammatico, storico, in costume
Episodi: 10
Durata episodi: 45 minuti
Trasmissione italiana: TIMvision