MIDNIGHT MASS - Mini Serie - RECENSIONE

C'era un'atmosfera inquieta intorno a Midnight Mass dopo l'annuncio e una produzione colpita in pieno dallo scoppio della pandemia, il ritorno di Mike Flanagan a tutto tondo su una miniserie, era il banco di prova al quale tutti l'attendavamo, dopo i successi contenuti nella nostra recensione di Hill House e nella recensione di The Haunting of Bly Manor.
Il ritorno di Riley (Zach Gilford) a Crockett Island, piccola e isolata comunità di sole 127 anime, ci porta a fare la conoscenza di una società che vive un decadimento pragmatico e spirituale indiscutibile. Le poche persone rimaste sull'isola rappresentano lo spettro di una realtà che una volta le univa e che rafforzava. Un sentimento che sembra pervadere anche Riley, tornato dopo un esilio volontario sul continente e poi forzato, dopo l'arresto per omicidio stradale in stato di ebrezza.
L'arrivo di un nuovo giovane prete, Padre Paul, sconvolge l'esistenza della piccola comunità con il suo travolgente carisma e, soprattutto, con una serie di miracoli che fanno sorgere più di un interrogativo in Riley, ormai ateo dopo gli eventi che ne hanno sconvolto l'esistenza, e che scatenano un revival religioso nell'intera comunità, mentre una presenza oscura e misteriosa si aggira per l'isola. E gran parte del fascino di Midnight Mass sta proprio nella sua esplorazione del tema della fede, nel quale Flanagan si getta a capofitto infarcendolo della sua esperienza personale di chierichetto e declinando le due facce della medaglia del credo nei personaggi di Riley e Padre Paul durante i loro incontri dedicati al recupero del primo dall'alcolismo. L'illusione di Padre Paul di essere parte integrante del disegno divino definivo si scontra con la disillusione di Riley, che preferirebbe di gran lunga abbandonarsi al dolce sciabordio dei dogmi, pur di continuare a convivere con il senso di colpa. Una declinazione che trova spazio anche nei discorsi tra lo stesso Riley ed Erin, l'amica d'infanzia anch'essa tornata da poco sull'isola per prendere il posto da insegnate della madre defunta e che si appresta a partorire e crescere da sola un figlio.
Ed è in queste occasioni che, nonostante la capacità registica di Flanagan di tenerci incollati allo schermo anche in un semplice dialogo campo/controcampo, Midnight Mass rischia di più, cercando di riempire ulteriormente un bicchiere saturo fino all'orlo, insistendo nella reiterazione di concetti esplicitati con perizia - forse troppa, diranno alcuni - e senza una reale necessità diegetica di spingersi oltre.
L'eccesso, tuttavia, non trova mai libero sfogo e scopre in un'articolata scrittura dei dialoghi e in un'introspezione certosina dei personaggi la forza necessaria ad arginare il rischio, reclamando a gran voce una liberalizzazione e una democratizzazione della fede, svincolata dai dogmi e - paradossalmente - dalla religione stessa, ma comunque parte integrante dell'individuo nel suo processo di autodeterminazione.
Nonostante la speranza dei più fosse quella di tornare all'orrore ricorrente ed ossessivo degli show precedenti di Flanagan, è doveroso specificare che Midnight Mass va in tutt'altra direzione. Qui il terrore scaturisce dalla degenerazione degli animi alla quale assistiamo gradualmente nel corso dei sette episodi che compongono la miniserie, quando il sonno della ragione genera effettivamente mostri figli dell'estremismo, della gelosia e dell'egoismo.
Quello di Midnight Mass è un terrore strisciante, declinato in una sensazione perturbate che non ci abbandona mai nell'incedere delle puntate e che ci fa realizzare quanto il male si possa nascondere in forme non necessariamente inquietanti o mostruose. È l'ineluttabile entropia che si fa rumorosa, ma mai pienamente riconoscibile, ammantando di un ammaliante quanto putrescente velo la realtà di Crockett Island che vorrebbe ergersi a baluardo di rettitudine e di ortodossia, rivelando sin dall'inizio la sua consapevole idiosincrasia e ricalcando in qualche modo le orme degli horror di Jordan Peele, fortemente ancorati al contesto contemporaneo e alla critica sociale.
L'elemento soprannaturale e prettamente orrorifico punteggia la trama in maniera sporadica, ma con regolarità, emergendo proprio nel momento del bisogno a spezzare il racconto con spietata urgenza. E, sebbene lo show presenti forse meno elementi di questo tipo di quanti ne desiderassero gli spettatori, la loro efficacia è indiscutibile e terrificante, e scandisce quella discesa agli inferi che esplode nell'ultima terzina di episodi, generando un climax ascendente lento e inesorabile costruito da segmenti di una parabola narrativa che acquista pieno significato diegetico nel quadro complessivo, valorizzando l'intera esperienza come non accadeva nei precedenti show e facendo sì che l'intero sia maggiore della somma delle parti.
Flanagan torna dietro la macchina da presa per l'intera durata della stagione e dimostra tutta la maturità acquisita col medium televisivo, cesellando inquadrature e movimenti di camera in un intarsio prezioso, giocando con la fotografia e il montaggio, spingendo al limite le interpretazioni del proprio cast e regalandoci le interpretazioni davvero memorabili di Hamish Linklater (Padre Paul) e Samantha Sloyan (Bev Keane) che dominano la scena in maniera indiscussa.
Quella che l'autore di Hill House profonde in Midnight Mass è profonda cura e sentito attaccamento, che si traduce in un appagamento che nel finale raggiunge una valenza catartica, quando la saturazione di tutti quegli elementi e generi che hanno rappresentato l'ordito della narrazione di Flanagan deflagrano in tutta la loro potenza, lasciando lo spettatore trasfigurato di fronte al disegno compiuto.


Titolo: Midnight Mass
Genere:
Episodi: 7
Durata episodi:
Trasmissione Italiana: Netflix