MISSION IMPOSSIBLE 4 (2012) - RECENSIONE

Alla "tenera" età di 54 anni, con due Oscar al miglior film d'animazione alle spalle e un passato nel team creativo dei Simpson, Brad Bird si conferma come uno dei migliori registi d'azione a Hollyood.Le sue doti le aveva già brillantemente dimostrate con Il Gigante di Ferro prima e Gli Incredibili poi, culminando in quel capolavoro che è Ratatouille (dove l'azione si sposta tra posate e stoviglie, in un sapiente gioco registico da micro a macro). Con Mission Impossible 4, Bird compie il passaggio al cinema live action (precedentemente aveva sceneggiato Miracolo sull'8a Strada) e riesce a risollevare dalla melma creativa un franchise che, ormai giunto al quindicesimo anno di età, aveva davvero bisogno di una rinfrescata per spingere gli spettatori a seguire nuovamente le avventure di Ethan Hunt. Il sorprendente adattamento della serie TV di Brian de Palma, infatti, negli anni è stato seguito dai molto meno eccitanti episodi di John Woo e J.J. Abrams.

 La scelta di Bird come regista di questo sequel ha funzionato alla grande: il regista punta tantissimo sull'azione pur dedicando il giusto spazio sia alla storia (qui contestualizzata in una scala ancor più internazionale) che ai protagonisti, qui non più ridotti a mero supporto di Tom Cruise, il cui ruolo non viene tanto ridimensionato quanto arricchito dal cast d'insieme. La cosa che più stancava del terzo episodio della saga, infatti, era proprio il personaggio di Ethan Hunt, trasformato in una sorta di superuomo indistruttibile: il lavoro sul protagonista in Protocollo Fantasma parte quindi dal trasformarlo in un personaggio ferito, fragile e pieno di dubbi ma assetato di vendetta, in grado di affrontare con coraggio anche una arrampicata sul grattacielo più alto del mondo per poi rendersi conto con terrore di ciò che sta facendo. Questo ovviamente aiuta a creare un senso di immedesimazione e a dare un tono molto più ironico e umoristico al film: tra tutte le scene va citata sicuramente quella sul cornicione del commissariato in Russia, genuinamente divertente.

Altro ingrediente che arricchisce la formula è una spinta più forte verso 007, sia nelle ambientazioni internazionali (dove ovviamente si strizza l'occhio all'oriente, con Dubai prima e Mumbai dopo) che nell'utilizzo di gadget high-tech. In questo senso, c'è da accogliere con favore la scelta di portare Benji Dunn (Simon Pegg) direttamente sul campo, non solo perché contribuisce ad alleggerire il tono di alcune scene ma perché rappresenta anche l'occasione per una inaspettata evoluzione nel personaggio. Per quanto riguarda il resto dei protagonisti, Paula Patton è protagonista di un indimenticabile catfight con Lea Seydoux (ma anche di una divertente scena di seduzione a Mumbai), mentre Jeremy Renner continua la sua lenta scalata verso il ruolo di star del cinema d'azione e dimostra un certo carattere riuscendo a contrapporsi in diversi momenti con Cruise.



La nota stonata arriva quando tocca al villain, purtroppo troppo bidimensionale rispetto al potenziale di Michael Nyqvist, soprattutto se si ripensa al Philip Seymour Hoffman del terzo episodio. Ma il punto è che Bird lavora su un canovaccio classico del cinema d'azione, su cui sviluppare le storie dei protagonisti e le scene spettacolari. E' quindi comprensibile la presenza di qualche dialogo esplicativo (anche se in questo modo le due ore e dieci di durata si notano), un po' meno forse il finale sbrigativo.

La vera protagonista di Mission Impossible 4 è l'azione, e in questo senso non si può non parlare di alcune delle sequenze più spettacolari dell'intera saga. In particolare l'ormai nota sequenza all'esterno del Burj Khalifa di Dubai, che grazie alla regia di Bird e a un ottimo montaggio rappresenta uno dei momenti più vertiginosi mai visti al cinema. Questa sequenza viene poi seguita da un'altra scena davvero mozzafiato, quella dell'inseguimento durante la tempesta di sabbia: la bravura di Bird sta anche nel trascinare lo spettatore dalla sensazione di vertigine a quella di spaesamento e claustrofobia. Menzione d'onore, infine, per i bei titoli di testa che chiudono una sequenza d'apertura davvero notevole a livello registico.