I Episodio. Incident on and off a Mountain Road (Panico sulla montagna) di Don Coscarelli. Guidando di notte su una solitaria strada di montagna, Ellen (Bree Turner) finisce per esser catturata del mostruoso killer Faccia-di-luna (John DeSantis) che vive nel bosco e colleziona cadaveri. Le lezioni di sopravvvivenza impartitele dal suo ex Bruce torneranno molto utili a Ellen. Coscarelli non mi ha mai convinto, lo dico fuori dai denti, soprattutto per quel suo Phantasm (1979) sopravvalutato; allora meglio Bubba Ho-tep (2002). Il primo film della serie MoH è un po' slasher e un po' Non Aprite quella porta (1974) con un'eroina del tutto particolare che permetterà un modesto finale a sorpresa. Il "mostro" della situazione è il solito redneck deforme anche se questa volta non siamo nel sud degli USA ma in un bosco canadese, ben sfruttato dal direttore alla fotografia Jon Joffin. Paura no, splatter abbastanza. Molto poco originale anche se vorrebbe esserlo. Coscarelli mi pare troppo affezionato ai Tall Men! Battuta per appassionati...
II Episodio. Dreams in the Witch-House (La casa delle streghe) di Stuart Gordon. Walter Gilman (Ezra Godden), un giovane ricercatore universitario, affitta una stanza in un vecchio stabile. Non può sapere che le pareti della stanza creano un varco fra il suo mondo e quello di una strega del XVII secolo che lo obbligherà a fare cose terribili.Non stupisce che sia Stuart Gordon ad adattare per lo schermo una storia presa da Lovecraft visto che del Triste di Providence è un abitudinario e stupisce relativamente ri-vedere Ezra Godden indossare di nuovo una maglietta della Miskatonic University (Dagon). Buone le atmosfere, discreti gli interpreti, bel nudo femminile ma la storia non aggiunge nulla alla risaputa idea della strega che vuole rubare bambini. Il protagonista lotta contro una forza che lo guida verso il male (spesso la gente normale fa cose anormali) ma questa forza non è mai messa in primo piano e in definitiva non si sa perché Walter debba agire così. Buon finale, ma l'episodio non è esaltante.
III Episodio. Dance of the Dead (La danza dei morti) di Tobe Hooper. In un America post-apocalittica ma che ricorda gli anni '50, Peggy (Jessica Lowndes) vive con una mamma oppressiva e sogna la libertà . Questa arriva con il volto del ribelle Jak (Jonathan Tucker) con il quale Peggy esce di notte di nascosto diretta al Doom Room, un locale dove il proprietario (Robert Englund) offre agli avventori l'orribile "danza dei morti". L'episodio è originale, a volte crudo e ha molto potenziale ma non sempre espresso a dovere, il che fa il paio con la carriera del regista Hooper, artista dai risultati altalenanti. Pellicola dal montaggio forsennato (più di 1100 tagli) con momenti sopraffatti dalla musica rock di Billy Corgan (quello degli Smashing Pumpkins) nel complesso ha i suoi quadretti affascinanti: i locali post-apocalittici e i loro avventori sono ben resi, la "danza dei morti" è terribile (nell'accezione positiva), Englund che fa il lurido con delle belle morte viventi è un grande. La storia in sé è un dramma della disperazione. Non male nel complesso.
IV Episodio. Jenifer (Istinto Assassino) di Dario Argento. Il detective Frank Spivey (Steven Weber) salva una giovane donna sfigurata di nome Jenifer (Carrie Fleming) da un uomo apparenetemente folle che vorrebbe farla a pezzi con una mannaia. Impietosito dal volto di Jennifer ed attratto dal suo bellissimo corpo, il poliziotto finisce per portarsi in casa una donna che ha degli istinti bestiali. Chi sia Dario Argento non c'è bisogno di dirlo, che questo Jenifer l'abbia diretto lui sì, perché l'episodio ha poco a che fare nello stile e nella tematica con il Dario che tutti conoscono. Tre cose, guardando Jenifer, riportano ad Argento: la nennia infantile all'inizio, il fatto che l'abbia composta Claudio Simonetti e il riflesso del volto di un assassino nella lama di una mannaia. Punto. L'idea della storia viene da un fumetto pubblicato nel numero 63 della rivistaCreepy (1974) ed in pratica è il ribaltamento del mito della Bella e la Bestia. Qui però non c'è un candelabro che parla in francese, bensì un sacco di sangue (direi 4 punti) e un tot di sesso. E' stato l'unico film della prima serie di MoH ad aver bisogni di tagli, tutti e due riguardavano il sesso orale (tagli e sesso orale, brutta accoppiata!). L'effetto prostetico per deformare il volto della protagonista non è esaltante. Le scene di sangue sono splatter ma banali eppure la storia in sé è abbastanza weird e interessante. Buttateci un occhio.
V Episodio. Chocolate (Il gusto dell'ossessione) di Mick Garris. Dopo aver assaggiato del cioccolato, il chimico Jamie (Henry Thomas), finisce per trovarsi psichicamente connesso con una donna. Vede il mondo attraverso i suoi occhi e le sue sensazioni. Jamie si innamora della donna senza neppure conoscerla anche dopo aver avuto la visione di lei che uccide un uomo. Jamie è deciso a conoscerla e a Vancouver la troverà . Mick Garris, oltre a dare il via alla serie MoH, ha costruito la sua carriera mettendo su pellicola le storie di Stephen King. Più che un horror questo Chocolate sembra un episodio di Ai confini della Realtà , con il protagonista turbato da flash e visioni. Bravo comunque Henry Thomas a mettere in scena un uomo solo che cerca disperatamente di amare ancora. Poco sangue e zero tensione. La protagonista femminile si masturba nella vasca da bagno con la doccetta; non vale la pena ricordare altro.
VI Episodio. Homecoming (Candidato Maledetto) di Joe Dante. Uno dei consiglieri di parte repubblicana, David Murch (Jon Tenney), fa di tutto per far credere all'opinione pubblica che la guerra sia cosa buona e sostiene che se il proprio fratello, a suo dire morto in Vietnam, fosse tornato a casa vivo avrebbe detto che era morto per qualcosa di giusto. Dopo pochi giorni i soldati morti in Iraq tornano in vita come zombies e l'unica cosa che vogliono non è mangiare carne umana ma poter votare per qualcuno che non mandi a morire i ragazzi per una bugia. Da quando Romero nel 1968 ha detto la sua sui morti viventi, gli zombies sono diventati una metafora politico-sociale. Joe Dante, quello di Gremlins (1984), porta la formula dei morti viventi ad un piano meno allegorico. Già antimilitarista ne La seconda guerra civile americana (1997), Dante mette in scena degli zombies che non rappresentano nulla più che la parte degli USA che vuole dire basta ad un governo (quello repubblicano) che guerreggia a destra e a manca. Anche Romero ne La Terra deiu Morti Viventi (2005) non c'era andato per il sottile, ma Homecoming è palesemente un film politico (o antipolitico?) in cui i soldati dicono basta e pacificamente si avvalgono del diritto di voto. I veri mostri sono incarnati nel film dai guru delle pubbliche relazioni mentre gli zombi non si interessano più alla carne umana. Che mondo è questo? Ovazione in Italia da parte dei "compagni"; ci sta, Homecoming è un film pregno e un po' di propaganda democratica contro Bush da parte di un'America stanca di vedere i propri figli massacrati è comprensibile e giusta, ma questo non fa di Dante un genio né del film un bell'horror.
VII Episodio. Deer Woman (Leggenda Assassina) di John Landis. Dwight Faraday (Brian Benben), un poliziotto con un ruolo di poco conto a causa di un passato drammatico, crede che dietro agli strani omicidi che hanno colpito la sua cittadina ci siano "gli zoccoli" della Donna Cervo, una creatura del folklore indiano. Ma siamo sicuri che John Landis sia un Master of horror? Ha girato solo due horror e anche se uno di questi era Un Lupo Mannaro americano a Londra (1981) penso che ci fosse qualcun altro che fosse più meritevole del titolo di "Master". Però Deer Woman non è male soprattutto perché, come nel film del '81 (che viene citato nell'episodio), Landis riesce a mixare abilmente elementi comici e orrorifici. Momento top quando il protagonista si immagina tre differenti scenari per il primo omicidio. Landis si prende il suo tempo per inquadrare il protagonista e creare siparietti comici, però poi sbriga con troppa sveltezza la seconda parte che avrebbe dovuto garantire il thrilling. La donna cervo è uno schianto, non mi formalizzerei troppo per le sue gambe. Bella scena di taglio col bisturi. Mick Garris (creatore della serie MoH) compare come giocatore delle slot machines.
VIII Episodio. Cigarette Burns (Incubo Mortale) di John Carpenter. Con un dramatico passato alle spalle, il gestore di un cinema, Kirby (Norman Reedus), è ingaggiato dal collezionista Belliger (Udo Kier) per ritrovare l'unica copia esistente del film "La Fin Absolue du Monde", pellicola che fa impazzire chiunque la guardi. La gente va a vedere gli horror non solo perché facciano loro paura, ma anche perché in essi si vedono cose che non sono mostrate negli altri film, e soprattutto perché l'horror spinge l'immaginazione dello spettatore in zone oscure inesplorabili nella vita di tutti i giorni. Cigarette Burns, l'episodio più weird della prime serie di MoH, tratta proprio di questa dinamica, di come un horror non solo ritragga l'orrore ma come questo orrore possa consumare lo spettatore. Non è un film facile anche perché è poco lineare e molto onirico ma è affascinate, soprattutto per un cinefilo. Parecchio sangue e lo sguardo magnetico di Udo Kier a incorniciare il tutto. Buono, quasi cronenberghiano.
IX Episodio. The Fair Haired Child (Patto con il demonio) di William Malone. Tara (Lindsay Pulshiper) viene rapita da una coppia che ha perso il figlio, annegato nel lago. La ragazza rappresenta la dodicesima vittima della coppia che ha stretto un patto con Satana il quale avrebbe promesso di restituire alla vita il ragazzo dopo dodici sacrifici.William Malone non è il primo che viene in mente quando si parla di maestri dell'orrore, ma tant'è. L'episodio soffre (come d'altra parte accadeva con gli altri film del regista) di diversi clichés: padroni di casa malvagi, scritte sul muro d'avvertimento, entità maligne; nulla di nuovo sotto il sole nero dell'horror. Però The Fair Haired Child non è così male e forse è persino superiore ai precedenti lungometraggi girati da Malone: carino il piccolo mostro fatto in CG. Episodio mediocre.
X Episodio. Sick Girl (Creatura Maligna) di Lucky McKee. L'entomologa Ida (Angela Bettis) s'innamora di Misty (Erin Brown) una bella ed eccentrica giovane ragazza. Le due vanno a vivere insieme e con loro arriva anche uno strano insetto che con una tossina può cambiare il carattere delle persone. Commedia romantica con quel non so che di monster-movie anni '50. Non molta paura ma abbastanza divertente, supportato dalla buona performance delle attrici. Il regista McKee, non propriamente un "Master" che deve la sua notorietà al film May (2002), bilancia bene elementi comici e orrorifici, aggiungendo un elemento di attualità sociale (il riconoscimento delle coppie gay). Nel complesso non essenziale ma godibile.
XI Episodio. Pick Me Up (Strada per la morte) di Larry Cohen. Stacia (Fairuza Balk) fresca di divorzio è persa nel bel mezzo del nulla dal momento che il pulman che la stava trasportando si è guastato. La donna, che ha accettato il passaggio di un camionista, presto si trova in mezzo alla guerra tra due serial killer. Maestro dell'orrore non so, però Baby Killer (1974) e Q - Il serpente alato (1982) sono due piccoli cult. Pick me up sarebbe potuta essere una convenzionale storia di serial killers ma Cohen la riesce a trasformare in una strana black comedy a tratti davvero godibile anche se non così originale nello svolgimento. I personaggi dei killer sono sopra le righe e poco credibili, però ben si inseriscono nella storia. Forse non così horror nonostante le diverse scene di sangue, ma più thriller. Finalone nichilista.
XII Episodio. Haeckel's Tale (La terribile storia) di Clive Barker. Una donna racconta una terribile storia ad un uomo che vorrebbe riporatare in vita la moglie tramite la necromanzia. Questa storia narra del giovane e scettico scienziato Ernst Haeckel (Derek Cecil) che finì per convincersi che non solo Frankenstein e la sua scienza potevano resucitare i morti. Ma l'anima, torna con il corpo? Una fiaba a metà fra Frankenstein e lussurie necrofiliache, diretta da un McNaughton già da un pezzo impegnato a dirigere storie che mescolano sangue e sesso. Il regista sa come costruire un racconto al limite che sfida le aspettative: il risultato è un episodio davvero interessante che si distingue dagli altri della serie per la sua impostazione solo apparentemente più classico-gotica. Peccato per il livello di recitazione mediocre. Haeckel's Tale rimane uno degli episodi migliori della prima serie. Da vedere.
XIII Episodio. Imprint (Sulle tracce del terrore) di Takashi Miike. Metà del '800. Christopher (Billy Drago), giornalista americano, torna i Giappone per cercare la prostituta di cui si era innamorato. La ragazza però è morta e l'unica cosa a che Christopher potrà ascoltare è il racconto di una prostituta sfiguarata che ha più di una confessione terribile da fare. L'episodio migliore della serie. Doveva essere trasmesso nel gennaio 2006 ma la Showtime bloccò il film che comparve in DVD solo il 26 settembre 2006. Crudissimo film di Miike, curatissimo nelle scenografia e nella fotografia, progredisce come Audition (1999) in una dimensione di falsa sicurezza fino ad un certo stadio della narrazione, per poi esplodere in una violenza a stento sopportabile, che porta con sé molte delle fantasie sadico-erotiche nipponiche di tipo bondage. Difficilmente potrete vedere un altro film in cui una scena che mostra degli aghi infilati sotto le unghie vi provocherà una vera percezione di dolore. La cosa non finisce qui. La storia raccontata dalla prostituta protagonista del film ha a che fare con violenze domestiche, abusi, suicidio, incesti e aborti, e quando dico aborti dico feti in bella mostra. Il film sta a metà strada fra l'assurdo e il seriamente orripilante, e il finale (dai toni cronenberghiani) non è assolutamente prevedibile. Miike si conferma davvero un maestro dell'orrore con questo Imprint che non è assolutamente adatto ai più impressionabili (contate 4 punti nel livello della violenza). Unica nota negativa la recitazione non entusiasmante degli attori, in primis quella di un invecchiato Billy Drago, il fu Frank Nitti killer della mafia che Costner fa volare dal palazzo ne Gli Intoccabili (1987).
II Episodio. Dreams in the Witch-House (La casa delle streghe) di Stuart Gordon. Walter Gilman (Ezra Godden), un giovane ricercatore universitario, affitta una stanza in un vecchio stabile. Non può sapere che le pareti della stanza creano un varco fra il suo mondo e quello di una strega del XVII secolo che lo obbligherà a fare cose terribili.Non stupisce che sia Stuart Gordon ad adattare per lo schermo una storia presa da Lovecraft visto che del Triste di Providence è un abitudinario e stupisce relativamente ri-vedere Ezra Godden indossare di nuovo una maglietta della Miskatonic University (Dagon). Buone le atmosfere, discreti gli interpreti, bel nudo femminile ma la storia non aggiunge nulla alla risaputa idea della strega che vuole rubare bambini. Il protagonista lotta contro una forza che lo guida verso il male (spesso la gente normale fa cose anormali) ma questa forza non è mai messa in primo piano e in definitiva non si sa perché Walter debba agire così. Buon finale, ma l'episodio non è esaltante.
III Episodio. Dance of the Dead (La danza dei morti) di Tobe Hooper. In un America post-apocalittica ma che ricorda gli anni '50, Peggy (Jessica Lowndes) vive con una mamma oppressiva e sogna la libertà . Questa arriva con il volto del ribelle Jak (Jonathan Tucker) con il quale Peggy esce di notte di nascosto diretta al Doom Room, un locale dove il proprietario (Robert Englund) offre agli avventori l'orribile "danza dei morti". L'episodio è originale, a volte crudo e ha molto potenziale ma non sempre espresso a dovere, il che fa il paio con la carriera del regista Hooper, artista dai risultati altalenanti. Pellicola dal montaggio forsennato (più di 1100 tagli) con momenti sopraffatti dalla musica rock di Billy Corgan (quello degli Smashing Pumpkins) nel complesso ha i suoi quadretti affascinanti: i locali post-apocalittici e i loro avventori sono ben resi, la "danza dei morti" è terribile (nell'accezione positiva), Englund che fa il lurido con delle belle morte viventi è un grande. La storia in sé è un dramma della disperazione. Non male nel complesso.
IV Episodio. Jenifer (Istinto Assassino) di Dario Argento. Il detective Frank Spivey (Steven Weber) salva una giovane donna sfigurata di nome Jenifer (Carrie Fleming) da un uomo apparenetemente folle che vorrebbe farla a pezzi con una mannaia. Impietosito dal volto di Jennifer ed attratto dal suo bellissimo corpo, il poliziotto finisce per portarsi in casa una donna che ha degli istinti bestiali. Chi sia Dario Argento non c'è bisogno di dirlo, che questo Jenifer l'abbia diretto lui sì, perché l'episodio ha poco a che fare nello stile e nella tematica con il Dario che tutti conoscono. Tre cose, guardando Jenifer, riportano ad Argento: la nennia infantile all'inizio, il fatto che l'abbia composta Claudio Simonetti e il riflesso del volto di un assassino nella lama di una mannaia. Punto. L'idea della storia viene da un fumetto pubblicato nel numero 63 della rivistaCreepy (1974) ed in pratica è il ribaltamento del mito della Bella e la Bestia. Qui però non c'è un candelabro che parla in francese, bensì un sacco di sangue (direi 4 punti) e un tot di sesso. E' stato l'unico film della prima serie di MoH ad aver bisogni di tagli, tutti e due riguardavano il sesso orale (tagli e sesso orale, brutta accoppiata!). L'effetto prostetico per deformare il volto della protagonista non è esaltante. Le scene di sangue sono splatter ma banali eppure la storia in sé è abbastanza weird e interessante. Buttateci un occhio.
V Episodio. Chocolate (Il gusto dell'ossessione) di Mick Garris. Dopo aver assaggiato del cioccolato, il chimico Jamie (Henry Thomas), finisce per trovarsi psichicamente connesso con una donna. Vede il mondo attraverso i suoi occhi e le sue sensazioni. Jamie si innamora della donna senza neppure conoscerla anche dopo aver avuto la visione di lei che uccide un uomo. Jamie è deciso a conoscerla e a Vancouver la troverà . Mick Garris, oltre a dare il via alla serie MoH, ha costruito la sua carriera mettendo su pellicola le storie di Stephen King. Più che un horror questo Chocolate sembra un episodio di Ai confini della Realtà , con il protagonista turbato da flash e visioni. Bravo comunque Henry Thomas a mettere in scena un uomo solo che cerca disperatamente di amare ancora. Poco sangue e zero tensione. La protagonista femminile si masturba nella vasca da bagno con la doccetta; non vale la pena ricordare altro.
VI Episodio. Homecoming (Candidato Maledetto) di Joe Dante. Uno dei consiglieri di parte repubblicana, David Murch (Jon Tenney), fa di tutto per far credere all'opinione pubblica che la guerra sia cosa buona e sostiene che se il proprio fratello, a suo dire morto in Vietnam, fosse tornato a casa vivo avrebbe detto che era morto per qualcosa di giusto. Dopo pochi giorni i soldati morti in Iraq tornano in vita come zombies e l'unica cosa che vogliono non è mangiare carne umana ma poter votare per qualcuno che non mandi a morire i ragazzi per una bugia. Da quando Romero nel 1968 ha detto la sua sui morti viventi, gli zombies sono diventati una metafora politico-sociale. Joe Dante, quello di Gremlins (1984), porta la formula dei morti viventi ad un piano meno allegorico. Già antimilitarista ne La seconda guerra civile americana (1997), Dante mette in scena degli zombies che non rappresentano nulla più che la parte degli USA che vuole dire basta ad un governo (quello repubblicano) che guerreggia a destra e a manca. Anche Romero ne La Terra deiu Morti Viventi (2005) non c'era andato per il sottile, ma Homecoming è palesemente un film politico (o antipolitico?) in cui i soldati dicono basta e pacificamente si avvalgono del diritto di voto. I veri mostri sono incarnati nel film dai guru delle pubbliche relazioni mentre gli zombi non si interessano più alla carne umana. Che mondo è questo? Ovazione in Italia da parte dei "compagni"; ci sta, Homecoming è un film pregno e un po' di propaganda democratica contro Bush da parte di un'America stanca di vedere i propri figli massacrati è comprensibile e giusta, ma questo non fa di Dante un genio né del film un bell'horror.
VII Episodio. Deer Woman (Leggenda Assassina) di John Landis. Dwight Faraday (Brian Benben), un poliziotto con un ruolo di poco conto a causa di un passato drammatico, crede che dietro agli strani omicidi che hanno colpito la sua cittadina ci siano "gli zoccoli" della Donna Cervo, una creatura del folklore indiano. Ma siamo sicuri che John Landis sia un Master of horror? Ha girato solo due horror e anche se uno di questi era Un Lupo Mannaro americano a Londra (1981) penso che ci fosse qualcun altro che fosse più meritevole del titolo di "Master". Però Deer Woman non è male soprattutto perché, come nel film del '81 (che viene citato nell'episodio), Landis riesce a mixare abilmente elementi comici e orrorifici. Momento top quando il protagonista si immagina tre differenti scenari per il primo omicidio. Landis si prende il suo tempo per inquadrare il protagonista e creare siparietti comici, però poi sbriga con troppa sveltezza la seconda parte che avrebbe dovuto garantire il thrilling. La donna cervo è uno schianto, non mi formalizzerei troppo per le sue gambe. Bella scena di taglio col bisturi. Mick Garris (creatore della serie MoH) compare come giocatore delle slot machines.
VIII Episodio. Cigarette Burns (Incubo Mortale) di John Carpenter. Con un dramatico passato alle spalle, il gestore di un cinema, Kirby (Norman Reedus), è ingaggiato dal collezionista Belliger (Udo Kier) per ritrovare l'unica copia esistente del film "La Fin Absolue du Monde", pellicola che fa impazzire chiunque la guardi. La gente va a vedere gli horror non solo perché facciano loro paura, ma anche perché in essi si vedono cose che non sono mostrate negli altri film, e soprattutto perché l'horror spinge l'immaginazione dello spettatore in zone oscure inesplorabili nella vita di tutti i giorni. Cigarette Burns, l'episodio più weird della prime serie di MoH, tratta proprio di questa dinamica, di come un horror non solo ritragga l'orrore ma come questo orrore possa consumare lo spettatore. Non è un film facile anche perché è poco lineare e molto onirico ma è affascinate, soprattutto per un cinefilo. Parecchio sangue e lo sguardo magnetico di Udo Kier a incorniciare il tutto. Buono, quasi cronenberghiano.
IX Episodio. The Fair Haired Child (Patto con il demonio) di William Malone. Tara (Lindsay Pulshiper) viene rapita da una coppia che ha perso il figlio, annegato nel lago. La ragazza rappresenta la dodicesima vittima della coppia che ha stretto un patto con Satana il quale avrebbe promesso di restituire alla vita il ragazzo dopo dodici sacrifici.William Malone non è il primo che viene in mente quando si parla di maestri dell'orrore, ma tant'è. L'episodio soffre (come d'altra parte accadeva con gli altri film del regista) di diversi clichés: padroni di casa malvagi, scritte sul muro d'avvertimento, entità maligne; nulla di nuovo sotto il sole nero dell'horror. Però The Fair Haired Child non è così male e forse è persino superiore ai precedenti lungometraggi girati da Malone: carino il piccolo mostro fatto in CG. Episodio mediocre.
X Episodio. Sick Girl (Creatura Maligna) di Lucky McKee. L'entomologa Ida (Angela Bettis) s'innamora di Misty (Erin Brown) una bella ed eccentrica giovane ragazza. Le due vanno a vivere insieme e con loro arriva anche uno strano insetto che con una tossina può cambiare il carattere delle persone. Commedia romantica con quel non so che di monster-movie anni '50. Non molta paura ma abbastanza divertente, supportato dalla buona performance delle attrici. Il regista McKee, non propriamente un "Master" che deve la sua notorietà al film May (2002), bilancia bene elementi comici e orrorifici, aggiungendo un elemento di attualità sociale (il riconoscimento delle coppie gay). Nel complesso non essenziale ma godibile.
XI Episodio. Pick Me Up (Strada per la morte) di Larry Cohen. Stacia (Fairuza Balk) fresca di divorzio è persa nel bel mezzo del nulla dal momento che il pulman che la stava trasportando si è guastato. La donna, che ha accettato il passaggio di un camionista, presto si trova in mezzo alla guerra tra due serial killer. Maestro dell'orrore non so, però Baby Killer (1974) e Q - Il serpente alato (1982) sono due piccoli cult. Pick me up sarebbe potuta essere una convenzionale storia di serial killers ma Cohen la riesce a trasformare in una strana black comedy a tratti davvero godibile anche se non così originale nello svolgimento. I personaggi dei killer sono sopra le righe e poco credibili, però ben si inseriscono nella storia. Forse non così horror nonostante le diverse scene di sangue, ma più thriller. Finalone nichilista.
XII Episodio. Haeckel's Tale (La terribile storia) di Clive Barker. Una donna racconta una terribile storia ad un uomo che vorrebbe riporatare in vita la moglie tramite la necromanzia. Questa storia narra del giovane e scettico scienziato Ernst Haeckel (Derek Cecil) che finì per convincersi che non solo Frankenstein e la sua scienza potevano resucitare i morti. Ma l'anima, torna con il corpo? Una fiaba a metà fra Frankenstein e lussurie necrofiliache, diretta da un McNaughton già da un pezzo impegnato a dirigere storie che mescolano sangue e sesso. Il regista sa come costruire un racconto al limite che sfida le aspettative: il risultato è un episodio davvero interessante che si distingue dagli altri della serie per la sua impostazione solo apparentemente più classico-gotica. Peccato per il livello di recitazione mediocre. Haeckel's Tale rimane uno degli episodi migliori della prima serie. Da vedere.
XIII Episodio. Imprint (Sulle tracce del terrore) di Takashi Miike. Metà del '800. Christopher (Billy Drago), giornalista americano, torna i Giappone per cercare la prostituta di cui si era innamorato. La ragazza però è morta e l'unica cosa a che Christopher potrà ascoltare è il racconto di una prostituta sfiguarata che ha più di una confessione terribile da fare. L'episodio migliore della serie. Doveva essere trasmesso nel gennaio 2006 ma la Showtime bloccò il film che comparve in DVD solo il 26 settembre 2006. Crudissimo film di Miike, curatissimo nelle scenografia e nella fotografia, progredisce come Audition (1999) in una dimensione di falsa sicurezza fino ad un certo stadio della narrazione, per poi esplodere in una violenza a stento sopportabile, che porta con sé molte delle fantasie sadico-erotiche nipponiche di tipo bondage. Difficilmente potrete vedere un altro film in cui una scena che mostra degli aghi infilati sotto le unghie vi provocherà una vera percezione di dolore. La cosa non finisce qui. La storia raccontata dalla prostituta protagonista del film ha a che fare con violenze domestiche, abusi, suicidio, incesti e aborti, e quando dico aborti dico feti in bella mostra. Il film sta a metà strada fra l'assurdo e il seriamente orripilante, e il finale (dai toni cronenberghiani) non è assolutamente prevedibile. Miike si conferma davvero un maestro dell'orrore con questo Imprint che non è assolutamente adatto ai più impressionabili (contate 4 punti nel livello della violenza). Unica nota negativa la recitazione non entusiasmante degli attori, in primis quella di un invecchiato Billy Drago, il fu Frank Nitti killer della mafia che Costner fa volare dal palazzo ne Gli Intoccabili (1987).
Titolo: Masters of horror
Genere: horror
Episodi: 13
Durata episodi: 60 minuti
Trasmissione italiana: Rai 3 - Sky Cinema Max