PENNY DREADFUL - Stagione 3 - RECENSIONE

Gli esordi di Penny Dreadful sono stati accompagnati, da una parte di pubblico, dal disagio nel realizzare per l’ennesima volta che la televisione, come il cinema, scade sempre più nella rivisitazione. Terrorizzati dalla prospettiva che lo show replicasse gli esiti imbarazzanti di un film come La leggenda degli uomini straordinari ci siamo avvicinati allo show perché niente attrae di più del fascino perturbante di Eva Green, e perché l’accostamento del nome dell’altera attrice alla letteratura gotica costituiva un’esca infallibile. John Logan, showrunner della serie, condivide lo stesso spirito del Bryan Fuller di Hannibal: entrambi amano follemente i personaggi di cui si sono innamorati come lettori – nel primo caso dai rispettivi autori di Dorian Gray, Dracula, Frankenstein, Dr Jekyll e Mr Hyde, nel secondo da Thomas Harris – entrambi hanno sfidato i propri simili, estimatori altrettanto sfegatati, “giocando” con i personaggi, entrambi sono riusciti a trasfigurare i propri idoli in qualcosa di completamente diverso riuscendo, inspiegabilmente, a tradirli e allo steso tempo a restarvi fedeli. Entrambi hanno vinto.
Nelle tre stagioni che compongono Penny Dreadful, Dorian Gray, Victor Frankenstein, i mostri da quest’ultimo creati, Sir Malcolm, il lupo mannaro Ethan e la meravigliosa Vanessa Ives hanno incrociato le proprie esistenze più volte. 
L’ultima annata si è conclusa a sorpresa (lo show va in onda su Netflix) con un doppio episodio finale che conferma, laconicamente, il destino di Vanessa. Ritrovatasi sola dopo che i suoi campioni – Victor, Sir Malcolm ed Ethan – hanno preso strade diverse, la donna scorpione è finita nuovamente nel mirino delle forze soprannaturali; il ritorno di Patti LuPone (nei panni della psichiatra Seward dopo aver incarnato la strega Joan) coincide con un lungo arco narrativo nel quale Vanessa, in rotta con la propria fede, cerca il sostegno della ragione. 

È il pretesto per un intero episodio flashback, il migliore della serie e di molto altro visto negli ultimi anni. Un filo d’erba, scritto dal creatore della serie John Logan, è un dramma in cinque atti con tre soli personaggi: Vanessa, che rivive i giorni della detenzione in manicomio, Clare, che si rivela essere stato il suo custode, e la Seward, traghettatrice di anime tra presente e passato. Una puntata sensazionale, claustrofobica, grondante ribellione e disperazione e tutta basata sulla bravura della Green e dell’inestimabile Rory Kinnear, il mite, empatico attendente destinato a trasformarsi nel solitario mostro che cerca di salvare la donna e soffre con lei. Alla fine della puntata il messaggio è chiaro: la solitudine è il più crudele e ineluttabile dei destini.
La parabola di Vanessa si interseca con quelle degli altri personaggi e, spesso, i legami sono sottili. Le linee narrative dei co-protagonisti letterari – Frankenstein, Jekyll e Gray – sono al limite dell’insulso, e rappresentano la disfatta nella terza stagione in questo senso: gli esperimenti scientifici dei primi due e la decadente passività con cui Dorian subisce (sempre più infastidito e stizzito) le rimostranze femministe di Lily (femminista lo è anche Logan, che si spende sull’argomento mostrando come Vanessa e l’ex prostituta lottino per non assecondare le pretese di sottomissione maschile) non portano da nessuna parte. Lo show non darà loro una vera closure - mail trio riesce a rubare spazio alla danza macabra di Vanessa con il Maligno. Il quale, in questo caso, non è – letteralmente - un diavolo brutto come lo si dipinge, ma piuttosto un seduttore sedotto dall’oggetto del proprio desiderio. Nelle ultime battute, i campioni di Vanessa accorrono in suo soccorso, ma è troppo tardi: lei attende, designata vittima sacrificale, il suo destino di salvatrice del mondo dall’oscurità con rassegnato spirito cristiano, abbracciata da Ethan e dalla fede ritrovata. 
La parabola cristologica, l’accettazione del ruolo di agnello dopo gli ultimi dibattimenti, è suggerita dai bei titoli di testa dell’episodio finale, dove croci e crocifissi sono più numerosi degli orridi insetti che strisciavano nei credits regolari. Sublime nella fotografia desaturata, spaccata in chiaroscuri vibranti, incorniciata in una composizione dell’immagine significativa, Penny Dreadful si trasforma nell’epilogo in una successione di tableau vivant narrati dai versi dell’Ode all’immortalità di Wordsworth: chi vuol vivere per sempre, se quell’eternità è senza i propri cari?.
Struggente, quasi lancinante, finale.


Titolo: Penny Dreadful
Genere: horror, fantastico, drammatico
Episodi: 9
Durata episodi: 44-59 minuti
Trasmissione italiana: inedita