THE CROWN - Stagione 5 - RECENSIONE

Dal 2016, anno del suo esordio su Netflix, The Crown si misura con la Storia e con alcune delle icone più rappresentative del Ventesimo Secolo. Prima su tutte Elisabetta II, che forse in maniera imprecisa, è sempre stata considerata la protagonista della serie. La Lilibeth che si trova incoronata Regina a soli 25 anni e assume quel ruolo che non era destinato a lei alla nascita con contegno e assoluta fedeltà verso la Nazione e il simbolo, quella Corona, appunto, che rappresenta il vero cuore della premiata serie.
Siamo negli anni ’90, un decennio funesto per la Monarchia Britannica, sotto gli occhi di tutti per via di “scandali a corte”. Elisabetta, completamente assorbita dal suo ruolo, deve cercare di gestire le intemperanze dei suoi figli, sistematicamente alle prese con matrimoni naufragati, la relazione con Margareth, che la vede sempre divisa a metà tra affettuosa sorella maggiore e sovrana irremovibile, un Filippo che sembra essersi reso conto di tutto ciò che ha perso scegliendo di diventare il principe consorte e soprattutto lei, Diana, quella ragazza triste che si rivelerà una vera spina nel fianco per la Corona, ma che forse Elisabetta in fondo, da madre e da donna, un po’ capisce.
Come accaduto per le due stagioni precedenti, anche in The Crown 5, Peter Morgan sceglie di procedere per episodi, cambiando ancora una volta la struttura narrativa della serie e scegliendo di dedicare ogni episodio a un dramma e a un personaggio diverso. L’impressione è che mentre la serie cresce e procede negli anni che sceglie di raccontare, le sue trame narrative si ampliano, così come si espande anche il ventaglio di personaggi che si cimenta a raccontare. Siamo di fronte a un racconto corale vero e proprio, ormai, e adesso sempre di più, data l’importanza che assumono nel grande quadro gli attori “secondari”, come Carlo, Camilla e Diana, ad esempio.
La grandezza di The Crown risiede nella raffinatissima scrittura di Peter Morgan, che di conseguenza si riflette sulla messa in scena, sulla regia, sulle interpretazioni degli attori che si rivelano, anche a questo secondo cambio di guardia, all’altezza del compito a cui sono chiamati.

Dopo lo straordinario lavoro di Claire Foy e Olivia Colman, Imelda Staunton alza ulteriormente la posta e mette in scena una regina ElisabettaII mai così composta e sobria, che fa un esercizio di asciugatura espressiva quasi totale e si conferma un’attrice sopraffina. Lo stesso discorso può valere per Jonathan Pryce, che nei panni del Principe Filippo racconta un personaggio che il tempo ha reso più saggio ma anche più acuto, che a differenza della Regina, sempre devota e irremovibile, comincia a fare un bilancio di quanto costruito negli anni vissuti da principe consorte.
Dopo Vanessa Kirby e Helena Bonham Carter era davvero difficile trovare una Principessa Margaret all’altezza, eppure Leslie Manville mette in scena un personaggio sfaccettato, che si trova a fare un bilancio della sua vita e a guardare in faccia le proprie paure. L’episodio che la vede protagonista, insieme a un tenero e incantevole Timothy Dalton potrebbe essere un unico piccolo film di una storia d’amore a suo modo tragica ma dolcissima.
Si può dire che le stagioni di The Crown si succedano in base al ritmo dei primi Ministri Britannici, e così dopo una inarrivabile Gillian Anderson/Margaret Thatcher, Johnny Lee Miller è chiamato a interpretare John Major. Un ruolo tanto più complicato quanto meno strutturato è stato il politico che, forse più di tutti, è riuscito a lavorare in sintonia con la Corona. E Miller non sbaglia un colpo, né un silenzio né uno sguardo.
Il racconto mediatico della relazione tra Carlo e Diana è stato uno degli argomenti più caldi degli anni ’90 per la “cultura popolare” e quindi è naturale che i due interpreti del principe di Galles e della sua consorte fossero messi al centro dell’attenzione, soprattutto per il grande lavoro svolto da Josh O’Connor e da Emma Corrin nelle stagioni precedenti. Se Debicki è assolutamente impressionante nella sua interpretazione, con una capacità mimetica totale, West opta per il contrasto. Tanto l’una è somigliante ed effettivamente avvilita, triste ma anche decisa a combattere come lo è stata Diana, quanto l’altro sembra estremamente più affascinante e capace di quanto la narrazione pubblica abbia mai reso per il Principe Carlo. E in effetti non si fa fatica a credere a un uomo intelligente e pieno di iniziativa, martoriato da un sistema che lo ha costretto in un matrimonio che non voleva, quando tutto l’amore che desiderava risiedeva già in un’altra donna alla quale lui era fedele.
E così The Crown 5, affrontando (in uno degli episodi meglio scritti) il divorzio della coppia reale, offre anche una prospettiva interna sulla ragioni di Carlo, che da sempre è stato considerato uno degli aguzzini di Diana. Si porta così a compimento un discorso che culminerà nella sesta stagione, ma che era stato seminato con cura nella stagione precedente. Carlo, tanto quanto Diana, è stato vittima del sistema in cui è nato. Ma naturalmente si è meno clementi verso chi è riuscito, poi, a raggiungere la felicità e non ha fatto in tempo a diventare un eroe tragico.
The Crown 5 cambia nuovamente la struttura del racconto e degli episodi. Ogni puntata disegna una circolo che sembra riportarci al punto di partenza ma che in realtà percorre un percorso preciso e ampio e che fa procedere gli eventi in maniera inesorabile. La stagione stessa comincia e finisce “su una nave”, in un mondo a parte che vorrebbe isolare i protagonisti e allontanarli dalle loro difficoltà ma che poi, puntualmente, li lascia in porto, sulla terra ferma a fare i conti con se stessi e con quella Corona a cui tutti devono, alla fine, dar conto.
Peter Morgan cerca di rintracciare l’umanità e il dramma dentro a una facciata di perfezione e impenetrabilità. Forse per questo, nonostante Debicki sia il personaggio più somigliante al referente reale, è anche quello meno interessante. Diana si è raccontata intimamente al mondo, quindi sappiamo anche troppo bene cosa aspettarci dal suo personaggio. Per Elisabetta, Carlo, Filippo e tutti gli altri, ci troviamo quasi di fronte a un foglio bianco, che sceneggiatore e interpreti devono riempire. E questo processo è affascinante.
Quello che resta di The Crown 5 è un senso di tragedia incombente, che viene fatto passare allo spettatore con tantissimi piccoli stratagemmi e dettagli nascosti in piena vista. Lo stesso racconto dell’ascesa di Moneim Fayed e di suo figlio Dodi è, forse involontariamente, un presagio nefasto. Ma anche in questo caso, un presagio messo in scena con stile infinito.
The Crown 5 si conferma un prodotto di grande classe, che nasconde nella scrittura il segreto della sua forza, una scrittura portata hai massimi livelli di equilibrio ed efficacia da un Peter Morgan in stato di grazia, che mai aveva fatto così bene anche nel corso della stessa serie.


Titolo: The Crown
Genere: politico, drammatico, storico in costume
Episodi: 10
Durata episodi: 47-61 minuti
Trasmissione italiana: Netflix