RESIDENT EVIL, RETRIBUTION (2012) - RECENSIONE

Il quinto, che potremmo considerare un po' la summa del modo di fare cinema del regista Anderson, e che non conclude le avventure della bella e letale Alice, destinate a compiersi, a quanto pare, nell'arco totale di un'esalogia.
L'abbiamo vista, col corpo e la grinta della bella Milla Jovovich, scappare incredula dall'incubo dell'Alveare nel primo episodio, aggirarsi con Jill Valentine per una ormai contaminata Raccoon City in RE: Apocalypse, a caccia di superstiti in RE: Extinction e, infine, in cerca di (vana) salvezza a bordo dell'Arcadia in RE: Afterlife. Si è alleata, ma ha anche lottato, con/contro una moltitudine di personaggi, a volte presi di peso dalla serie originale made inCapcom ma, ancor più spesso, creati appositamente da Anderson per i film, e ha affrontato orde di zombie e creature mutate dal nefasto e incontrollabile (?) T-Virus della Umbrella Corporation. In questo nuovo episodio le sue certezze torneranno a vacillare, a causa di alcune verità finalmente svelate, e nuovi orizzonti si spalancheranno davanti a lei, con un'unica, vera certezza (tutt'altro che nuova, almeno questa!): la salvezza del genere umano, nel bene e nel male, dipende da lei.
Non voglio rivelare di più sulla trama perché il sottile gioco di scatole cinesi che Anderson mette in piedi è così flebile che ogni minimo spoiler può rovinare il gusto della (relativa) sorpresa, anche se tutti voi l'avrete già visto e stra-rivisto; Vi basti sapere che, come da copione, vedremo graditi ritorni (ad esempio Albert Wesker e Jill Valentine) così come alcuni volti nuovi per il cinema (Leon Kennedy, Ada Wong,Barry Burton) ma grandi assenti ingiustificati finora per gli aficionados della serie.
Potremmo, tuttavia, estrapolare un paragrafo dalla recensione del precedente Afterlife per portare avanti una considerazione.
“C'è da annotare come Anderson non voglia mai essere uguale a sé stesso, ma nel farlo utilizza sempre i 'soliti' trucchetti di sceneggiatura, cambiando le carte in tavola a ogni film a uso e consumo della situazione contingente. È oramai chiaro che manca una visione d'insieme delle avventure della sua eroina, e ad ogni capitolo la sceneggiatura va a braccio, riprendendo gli elementi più utili o interessanti dei precedenti episodi e liberandosi della 'zavorra' con semplici espedienti volti a rivitalizzare o riequilibrare di volta in volta personaggi e situazioni. È successo nei capitoli precedenti, succede anche in questo e, ne siamo certi, capiterà anche nei successivi”.
Modestia a parte, ci avevamo azzeccato.
Siamo preveggenti o, semplicemente, Anderson si è fatto, dunque, prevedibile? Il suo approccio è oramai un marchio di fabbrica, che qui torna prepotentemente e con tutta l'onestà di voler realizzare non un film memorabile dal punto di vista dell'intrigo, quanto del divertimento.
La vicenda si apre, naturalmente, in modo spettacolare, esattamente dove Afterlife chiudeva il sipario: i bei titoli di testa non sono all'altezza di quelli del precedente episodio, forse (davvero immersivi, anche grazie al 3D) ma sono d'atmosfera e fanno da ottimo preludio ad un immancabile “spiegone” per i neofiti e alla prima, vera, scena d'azione, che recupera ottimamente una sequenza dal film antecedente.

Di lì in poi, Anderson procede in maniera molto furba, giocando sulla curiosità dello spettatore rispetto ai misteri dell'Umbrella e del passato diAlice, intontendolo nel frattempo con sequenze d'azione lunghe e mozzafiato, davvero ben realizzate e adrenaliniche, sebbene corredate di un effetto 3D che è poco più di un orpello. Arrivati alla fine del film, tuttavia, è grande la delusione se ci si aspetta chissà quali rivelazioni: la grande verità è una sola, mentre per tutte le altre domande bisognerà attendere il “gran finale”. Tutto qui. Non che ci si aspettasse chissà che trama articolata e dialoghi profondi, però già Afterlife aveva tentato di portare avanti una storia e un intreccio, per quanto pasticciato, e il precedente I Tre Moschettieri vantava una storia, per quanto ordinaria, molto più soddisfacente, con personaggi decisamente più tratteggiati. Qui invece i vari protagonisti vengono gettati lì nel mucchio senza il dovuto approfondimento, soprattutto i vari Leon, Ada, Burton, tanto per compiacere i fan, per i quali non hanno bisogno di presentazioni.
Allo stesso modo, Anderson è passato dal cercare di riproporre il feeling del gioco replicandone a schermo alcune sequenze paro-paro (vedasi la battaglia con Wesker in Afterlife) alla semplice citazione meta-mediale, come il modellino di Ada che nel computer dell'Umbrella assume le forme poligonali viste nei videogiochi. Stesso dicasi di mostri, ambientazioni, situazioni, riproposti a ruota libera lungo un carnet di veri e propri stage che, vista anche la quantità di combattimenti, ricorda più un complesso picchiaduro che un survival horror, oltre che essere una comoda trovata registica per variare le location in uno schiocco di dita.