WOLF CREEK 2 (2014) - RECENSIONE

Annoiati dal turismo di massa, i giovani Rutger e Katarina viaggiano per esplorare l’Australia e arrivano nel parco nazionale di Wolf Creek, imbattendosi nello psicopatico cacciatore di maiali (e serial killer) Mick Taylor. A quel punto la vacanza si trasformerà in un incubo. 
Nel 2005 Wolf Creek ha rappresentato una vera e propria svolta nel cinema di genere australiano, riportando in auge una cinematografia a lungo dimenticata e incapace, salvo poche eccezioni, di farsi notare al di fuori dei propri confini nazionali. L’entrata in scena del suo regista, Greg Mclean, era stata salutata dagli appassionati dell’horror (e non solo) come uno degli esordi più folgoranti degli ultimi tempi. Mclean, infatti, era riuscito nell’impresa non facile di confezionare un tipico slasher di estrazione americana – il solito gruppo di turisti preso di mira dal maniaco seriale di turno – ottimizzando le risorse geografiche offerte dal suo Paese e caratterizzandolo con tutta una serie di tratti peculiari appartenenti alla cultura australiana. Con il suo secondo film, Rogue (2007), sulle gesta di un coccodrillo gigante, non aveva mantenuto le promesse e, giustamente, ha deciso di prendersi una pausa durante la quale, oltre a riordinare le idee, ha approfittato per produrre una interessantissima rivisitazione del western in chiave ozploitation (Red Hill) e un più convenzionale sci-fi di serie B, Crawlspace (2012). 
Ora Greg Mclean è tornato dietro la macchina da presa in grande spolvero con un sequel di quel primo film che gli aveva procurato notorietà. Ebbene sì, perché Wolf Creek 2 non è un sequel come tanti altri e non commettete l’errore di dare ascolto a chi troppo frettolosamente l’ha definito uno slasher dove la trama quasi inesistente è un pretesto per metterere in scena una lunga serie di ammazzamenti particolarmente sanguinosi. Wolf Creek 2, prima di essere la continuazione di un film di successo e un horror, è soprattutto una cinica e irresistibile riflessione sull’Australia, la sua cultura, la sua terra, il turismo, il mito dell’outback visto come terra di frontiera inesplorato e inospitale. Non c’è un reale collegamento con il primo Wolf Creek, se non per lo spunto di attribuire le decine e centinaia di sparizioni irrisolte, che ogni anno vengono denunciate, alla leggendaria figura del serial killer paladino dell’outback Mick Taylor, interpretato da un sempre più sopra le righe ma azzeccatissimo John Jarratt, destinato a entrare nell’empireo delle grandi icone dello slasher moderno insieme a Jason Voorhees, Freddy Krueger e Michael Myers. E’ lui il vero protagonista del film, che dopo essersi accanito su una coppia di poliziotti buzzurri dà la caccia a una giovane coppia di turisti tedeschi per infine prendersela con un inglese in vacanza a bordo di un fuoristrada. Proprio con quest’ultimo si metterà in moto un lunghissimo inseguimento quasi in tempo reale attraverso cui Mclean si sbizzarisce in una catena ininterrotta di colpi di scena imprevedibili, destinata a concludersi nell’antro labirintico di Mick Taylor. Qui, in uno spassosissimo gioco a quiz al sangue, veniamo indottrinati con nozioni di storia australiana.

Wolf Creek 2 è anche un film pieno zeppo di scene e uccisioni memorabili, dove però la violenza estrema è continuamente smorzata dalle battute del killer, come nella scena in cui la ragazza tedesca assiste sconvolta al dissezionamento del cadavere del suo fidanzato mentre Taylor commenta ad alta voce le qualità del suo corpo, comprese le dimensioni del pene. Tra i momenti più irresistibili ricordiamo la mattanza dei canguri investiti dal tir guidato da Taylor, in una scena che è un omaggio spassionato e creativo alla caccia alcolica ai canguri di un classico dell’ozplotation come Wake in Fright (1972).