MAD MAX, FURY ROAD (2015) - RECENSIONE

Se c’era qualcuno che poteva ancora dire qualcosa di nuovo in materia di post-apocalisse e car chasing, ovvero il filone che racchiude gli inseguimenti su quattro ruote, era solo colui il quale questo genere, nella sua accezione più moderna, lo ha creato 36 anni orsono. Con Mad Max: Fury Road George Miller non solo è tornato al cinema per virgulti delle emozioni forti dopo la redditizia parentesi famigliare dei maialini coraggiosi e dei pinguini animati, ma ha firmato il suo capolavoro che è anche un minuzioso saggio dedicato alle regole dell’action e che un giorno – ne siamo certi – verrà sezionato e studiato come oggi si usa fare con i film di Alfred Hitchcock, personale nume tutelare del regista australiano.
Mad Max: Fury Road non è il quarto capitolo della trilogia. Ne è invece un rifacimento che sa di compendio che guarda al futuro piuttosto che di un remake filologico che ha nostalgia del passato. In Fury Road, George Miller è come se avesse ripreso le fondamenta narrative su cui si reggevano i suoi film del 1979, 1981 e 1985, li avesse mescolati e, dopo aver aggiunto elementi inediti, avesse dato vita a un film tutto nuovo per il quale non è indispensabile conoscere la trilogia cult di partenza. Da Interceptor (Mad Max) viene recuperato il trauma che affligge Max Rockatansky legato alla morte violenta di moglie e figlio, alla base della sua sete di vendetta; daInterceptor – Il guerriero della strada (Mad Max 2) c’è tutto il cotè post-apocalittico e post-freak-punk più l’idea secondo la quale il car chasing perfetto non dovrebbe mai avere momenti di pausa, e non affidarsi a trucchi digitali. E infatti Fury Road è un’unica, interminabile, folle e rocambolesca caccia all'uomo motorizzata lungo le strade sabbiose e i canyon scolpiti dal sole del deserto della Namibia, location perfetta dove abbandonarsi a una catena di esplosioni e incidenti automobilistici realizzati dal vero, che tolgono il fiato in gola da quanto sono belli e feticisticamente erotici nell'attirare occhio e udito tra i dettagli e rumori di lamiere accartocciate, frammenti meccanici, esplosioni e ammennicoli vari che fanno la gioia degli appassionati del design automobilistico. E ancora, da Mad Max – Oltre la sfera del tuono (Mad Max: Beyond Thunderdome) ecco provenire la presenza di un’oligarchia da abbattere che allora era rappresentata dalla figura dittatoriale di Tina Turner, mentre oggi ha l’aspetto cenobitico di Hugh Keays-Byrne.

Di nuovo, Fury Road offre invece un contraltare femminile di Max, il personaggio di Furiosa interpretato da Charlize Theron. A ben vedere, infatti – ed è uno dei maggiori punti di forza del film – George Miller evita di incentrare tutto il film su Max incarnato ottimamente da Tom Hardy (che aggiunge alla caratterizzazione data un tempo da Mel Gibson una componente più tragica, quasi scespiriana), per lasciare molto spazio al personaggio, ugualmente tragico, di Furiosa, autoinvestitasi del difficile compito di guidare a bordo di una autocisterna rammodernata le cinque mogli di Immortan Joe (Keays-Byrne) verso un luogo lontano dove ricominciare a vivere. Immaginate che i partecipanti di un’edizione del Burning Man, obnubilati da qualche acido di troppo, stringano alleanza con gli autisti dei carri roboanti del corteo del primo maggio e ai terroristi fanatici dell’ISIS costituiscano un’unica, grande armata kamikaze cancerosa e lebbrosa, e si lancino all’inseguimento di un gruppo di femministe in fuga aiutate da un lonesome cowboy e da un freak redento attraverso tempeste di sabbia radioattive e lande desolate popolate da strani individui sui trampoli, ultimo residuo di ciò che una volta si chiamava umanità, e avrete solo una vaga idea di che razza di follia si è inventato quel simpatico e vitale George Miller. Mad Max: Fury Road è grande cinema e grande divertimento che fa sembrare la saga di Fast & Furious una parata di auto d’epoca per annoiati vecchietti.